giovedì, novembre 22, 2007

martedì, novembre 20, 2007

venerdì, novembre 09, 2007

Aglio&Olio



  • Aglio
  • Olio extravergine d'oliva
  • Prezzemolo fresco
  • Sale
  • Peperoncino rosso
  • Spaghetti
  • Ricotta dura salata, grattugiata a polvere
  • limone

Pulire e lavare accuratamente il prezzemolo. Tritarlo finemente.
Preparare in un pentolino l'olio con gli spicchi d'aglio affettati e il peperoncino tritato. Farli soffriggere a fiamma molto bassa fino a quando non prendono colore e poi aggiungere due cucchiai di acqua di cottura della pasta. Lasciare sobbollire ancora per qualche minuto.
Scolare la pasta e condire.

giovedì, novembre 08, 2007

Россия 1917

Ragù



Ragù alla Bolognese
Salse e condimenti
Ingredienti:
manzo, vitello e maiale
pancetta, burro, cipolla, carota, sedano, pepe , sale, brodo, conserva di pomodoro.


La carne può essere anche di tre qualità, manzo, vitello e maiale, ma il manzo deve tuttavia predominare. Passate tre etti di carne alla macchinetta insieme con la pancetta, e intanto fate rosolare nel burro abbondante un trito finissimo di cipolla, carota e sedano. Quando sarà dorato, aggiungetevi la carne e fatela rosolare bene aggiungendo pepe e sale. Gettate adesso nella casseruola un bicchiere di vino rosso e lasciatelo evaporare, poi versate in due riprese nel ragù un ramaiolo di brodo e un cucchiaio colmo di conserva di pomodoro, facendo cuocere piano. Si può bagnare il ragù con latte invece che col brodo e viene allora più delicato e si può anche, verso la fine, aggiungervi fegatini e rigaglie, prima cotti nel burro, e una manciata di funghi secchi prima rinvenuti in acqua tiepida e tritati grossolanamente. Tutte queste varianti e queste aggiunte sono ammesse e il ragù e tanto migliore quanto più ricco di alimenti.

domenica, novembre 04, 2007

ELIZABETH




Enrico V: Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte. Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravviverà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano. Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche - Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester - saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!

Shakespeare, Enrico V, atto IV. scena III

mercoledì, ottobre 31, 2007

Cosimo Piovasco di Rondò

Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d'Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell'ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d'andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: - Ho detto che non voglio e non voglio! - e respinse il piatto di lumache. Mai s'era vista disubbidienza piú grave.
Italo Calvino " il barone rampante" Einaudi, Torino, 1957

Takasugian ("Troppo alta") Chino, Nagano Architetto: Terunobu Fujimori
(copyright Michael Freeman)

venerdì, ottobre 26, 2007

bustina



“La poesia non é meno misteriosa degli altri elementi dell’universo.
Questo o quel verso fortunato non può insuperbirci,
perché é dono del Caso o dello Spirito; solo gli errori sono nostri.”
Jorge Luis Borges “Elogio dell’ombra”
Einaudi 1971


Mi hanno riferito una frase di Paul Valèry che vi trascrivo così come l’ho sentita: tutto ciò che ho fatto lo considero niente se non ha raggiunto la perfezione.... ho cercato di rintracciare la frase esatta inserendola in Google ma non ho avuto fortuna. Come spesso capita con questo tipo di ricerche (internet è fantastica per confortare una memoria sempre più labile di fronte a urgenti curiosità) mi é sembrato comunque di intravedere frammenti della questione che quella frase anche se mal riportata mi interessava è cioe il manicheo dividere l’essere o non essere di un’azione, di un progetto attraverso il paramentro della perfezione e il suo conseguente valore o non-valore. Ad una sorta di gelo provocatomi da quella frase la mia risposta istintiva é stato contrapporre il concetto dell’humanitas e cioè da Scipione il Giovane a Cicerone il concetto con cui si intendeva la qualità che distingue l’uomo non solo dagli animali, ma ancor più da colui che, pur appartenendo alla specie umana, non merita il nome di “homo humanus”; in altri termini, la qualità che lo separa dal barbaro o dall’uomo volgare, ai quali mancano pietas e paideia, cioè il rispetto per i valori morali e cultura ed educazione. Ora senza addentrarmi in temi che la mancanza di spazio ma sopratutto la mia ignoranza mi impedisce di articolare quello che mi interessava era trovandomi in pieno disaccordo con quella frase (o comunque con il senso a me riportatomi) aggiungere all’Utilitas, Venustas, Firmitas che secondo una mia lettura romantica della frase di Valèry potrebbero aspirare al gelo della perfezione l’humanitas che quel gelo scioglie e rende vita palpitante. Mi sembra che uscendo dal campo dell’architettura che considero parte non divisibile dall’intero delle attività umane la questione della perfezione é lo specchio dalla volontà che vedo intorno a me di annullare la complessità sostituendola con la ricerca di un evento miracoloso e perfetto appunto: la vincità di una lotteria, l’avvento dell’uomo forte e per dirla con Eugenio Scalfari: Il più vivo desiderio delle masse, cioè dell’individuo ridotto a folla e a massa, è di essere de-responsabilizzato. Vuole questo. Vuole pensare e prendersi cura della propria felicità delegando ad altri il compito di pensare e decidere per tutti. Dividendo quindi tutto ciò che é perfetto dal resto definito come “niente” si nega la possibilità al “tendere” si erigono glaciali torri d’avorio tramutando una professione di umiltà in uno snobistico eremitaggio ma sopratutto facendo si che quelle torri d’avorio siano l’agognata meta per le masse del presunto “niente” e rinunciando a mettere mani alla costruzione di mondi possibili giocando la difficile partita del quotidiano, dell’imperfetto dell’altro da noi, a svilluppare per dirla con Roland Barthes: “tecniche diverse destinate a fissare la catena fluttuante dei significati, in modo da combattere il terrore dei segni incerti… “





mercoledì, ottobre 24, 2007

auguri maestro


Bruno Munari 24 ottobre 1907

"Un giorno sono andato in una fabbrica di calze
per vedere se mi potevano fare una lampada.
- Noi non facciamo lampade, signore.-
Vedrete che le farete. E così fu."
(Bruno Munari, a proposito della lampada Falkland)

venerdì, ottobre 19, 2007

mercoledì, ottobre 17, 2007

nino



Quello che accade,
accade non tanto perché una minoranza vuole che accada,
quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini
ha rinunciato alle sue responsabilità e
ha lasciato che le cose accadessero"

Antonio Gramsci





lunedì, settembre 24, 2007

castagne.....




Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.

Giuseppe Ungaretti
luglio 1918

martedì, settembre 11, 2007

rosse......



[...] Di ritorno a casa, la vecchia signora lanciò le scarpette rosse su uno scaffale altissimo e ordinò alla bambina di non toccarle mai più. Ma lei non riusciva a fare a meno di guardarle e desiderarle. Per lei erano ancora la cosa più bella che si trovasse sulla faccia della terra.
da "scarpette rosse" Hans Christian Andersen

giovedì, agosto 30, 2007

venerdì, agosto 24, 2007

Palio

SIENA, 16 agosto 2007
Con il fantino Scompiglio su Brento,
la contrada del Leocorno si è aggiudicata
il Palio di Siena dell'Assunta 2007

foto di marco delogu (2007)





giovedì, agosto 23, 2007

lo potevo fare anch'io....?

ho appena letto uno splendido libro di Francesco Bonami* sull'arte contemporanea:
"lo potevo fare anch'io"- collana Strade Blu - Mondadori - Milano 2007


"la nona ora"
maurizio cattelan [1999]

l'estate sta finendo.......

venerdì, agosto 17, 2007

ARBUTUS UNEDO




FAMIGLIA: Ericaceae
NOME VOLGARE: Corbezzolo
HABITAT: Macchie e leccete


ippolito pizzetti (milano 1926_roma 2007)
non c'è più, nella mia memoria il corbezzolo rosso è quello che mi ha lasciato
un albero sempreverde come lui......

Uno spettacolo in quattro atti
Progettare un giardino
di IPPOLITO PIZZETTI

Mi è stato chiesto molte volte come mai io, che avevo deciso di intraprendere gli studi classici, e mi sono laureato di conseguenza in Letteratura Italiana, poco dopo aver raggiunto i trenta anni, abbia deciso di cambiare rotta e mettermi a fare l'architetto di giardini: perché, ad un certo punto, ho ritenuto che quella era la strada che mi sarebbe più piaciuto percorrere.
Devo premettere che già al tempo in cui ho cominciato ad operare in questa professione, i privati che dessero l'incarico di progettare il loro ad un "architetto di giardini" in Italia erano pochi assai, se non pochissimi. Non voglio neppure fare il calcolo del numero di quelli che ho progettato, e ancor meno di quelli portati a termine, davvero esiguo rispetto a quanti vengono realizzati dai professionisti all'estero. Certo, per essere sincero, a differenza di quanto hanno dichiarato molti di coloro che praticano qui da noi questa professione, devo confessarlo, non mi è mai passato neppure per il capo di progettare un giardino concepito su misura per il cliente, come se si trattasse di un vestito. Io considero il mio cliente, non diversamente da me che lo progetto, uno che per buona sorte si trova ad avere a disposizione un terreno, uno spazio su cui fondare il giardino. E che se conosce così a fondo i suoi desiderata, per realizzarlo non ha che da rivolgersi ad un esperto vivaista. E non certo per mia presunzione, ma perché il mio primo pensiero è quello di cogliere, di trovare nel luogo, nella formazione del terreno, nella presenza di una vegetazione originale, la chiave con la quale operare.
Sarebbe un discorso che mi porterebbe lontano, troppo, lasciamo andare, ma nelle mie prime fantasie sono venuto dal teatro, sono partito di lì.
Quercia, Frassino, Acero campestre

Nel giardino che progetto voglio che si realizzi uno spettacolo continuamente in evoluzione, in quattro parti che convergono l'una dentro l'altra, chiamateli pure quattro atti: primavera, estate, autunno, inverno, e cerco che operino dentro ciascuno di questi i possibili protagonisti della vicenda. Che possono essere presenti o no nello spazio su cui intendo operare, ma che comunque presenti hanno da essere nel paesaggio naturale di cui anche quel giardino fa parte: questo è anche il motivo per cui gli elementi principali, i protagonisti, sono presenti ancor prima che all'interno di esso, fuori di esso. Il che non è per nulla difficile da comprendere; ma se andiamo a vedere come si sono venuti concretando i giardini privati e anche pubblici nella massima parte del nostro paese, specie al centro e al nord, tra la fine del secolo XIX e poi nel XX, è facile rendersi conto di come la strada che voglio intraprendere, le mie scelte, siano diametralmente all'opposto di quella seguita e che costituisce ¿ per fare un esempio ¿ la vegetazione della massima parte dei giardini, privati o pubblici che siano, soprattutto del centro e del nord d'Italia. È un fatto curioso come siano in pochi a rendersi conto di come la maggior parte dei giardini dentro le nostre città o attorno alla città, che si trovino in Emilia, nel Lazio, e poi più su in altre regioni, in Lombardia in Piemonte, siano costituiti principalmente da una vegetazione arborea del tutto estranea a quella locale, presente in modo frammentario o scomparsa: c'è una assoluta, costante prevalenza delle conifere. Provate, nella maggior parte di questi spazi verdi, a trovare anche una sola quercia.
Tiglio e Carpino bianco

Desidero dirlo subito: non vorrei dar luogo ad un equivoco, non vorrei che da questo mio discorso si inferisse che io sia un fanatico seguace del proclamato credo ambientalista, accettato alla lettera dai neofiti, "solo piante autoctone". Cosa sarebbero diverse nostre città del sud o anche della riviera ligure senza piante esotiche, o le nostre città del nord senza le Magnolie (che pure molti milioni di anni fa sono state "autoctone")?
Fermandoci all'Emilia, dove insegno da dieci e più anni e dove ho anche occasione di operare, mi appare un assurdo che nei giardini (diversamente che in altri paesi oltre il nostro confine, nel centro e nel nord d'Europa) la vegetazione consista in massima parte di conifere squallidamente sempre uguali in tutte le stagioni e dove per trovare, non dico un faggio, ma quel che è peggio, una sola quercia, bisogna andare a cercarla col lanternino; non c'è cosa più assurda che nello spazio che apparteneva in gran parte agli Estensi il paesaggio originario, di cui i capisaldi erano costituiti dalle querce sopratutto, dai carpini, dai frassini, dagli aceri, dai tigli, dagli olmi per fermarci ai protagonisti, non rechi più o quasi in nessun luogo, nei pressi o attorno alle città, traccia della vegetazione originaria.
Certo, lo sappiamo bene, è avvenuta una rivoluzione storica, con la trasformazione dei precedenti territori boschivi in aree agricole, ma il fatto curioso è che, pur tenendo conto di questo mutamento, la vegetazione originaria sia stata eliminata in modo tanto radicale, abbia subito, specie dentro la città o i suoi immediati dintorni, sopratutto nei giardini, una sorta di rigetto quasi totale.
I giardini d'inverno di Palazzzo Hofburg, ricoperti da una fitta vegetazione di alberi e erbusti, luogo di incontro dell'aristocrazia locale, Vienna, 1852. (Da 'Giardinomania', Federico Motta Editore).

A mio avviso un fattore determinante, se non il principale addirittura, è stato, da parte e presso l'ascendente borghesia, l'affermarsi di una concezione del giardino quasi esclusivamente come simbolo di pervenuta crescita ed agiatezza, di un raggiunto superiore livello di classe; grazie al quale, per i possessori di quei verdi spazi, uno dei caratteri dominanti, se non il dominante, doveva essere quello di staccarsi da un paesaggio che in un modo o nell'altro faceva parte di un ambiente, di un passato rustico, da cui si voleva sottolineare quanto più possibile l'allontanamento, la distanza, dimostrandosi, e soprattutto apparendo, diversi. Già il possesso stesso di uno spazio destinato a giardino ne era un segno, e ancor più il suo distinguersi nettamente nelle sue componenti vegetali dall'ambiente che lo circondava. Si può quasi dire, e mi è già capitato di scriverlo ma voglio ripeterlo, che il rifiuto, il rigetto della vegetazione naturale e spontanea, nel momento storico in cui questi giardini sono stati creati, è stato altrettanto forte e reciso, se non di più, di quello degli elementi anche lontanamente sospetti di origine pagana da parte del cattolicesimo. Sarebbe anzi interessante a questo punto uno studio su come il giardino privato (e di conseguenza e a rimorchio quello pubblico) sia venuto formandosi quale possiamo vederlo oggi presso e assieme all'ascesa della borghesia, grande o piccola che fosse. Per tacere degli abietti preconcetti e pregiudizi massaieschi, purtroppo ancora non del tutto spenti, che le piante spoglianti vadano evitate perché "sporcano".
Città della Pieve, dintorni

Ma per tornare a parlare del mio modo di affrontare lo spazio del giardino, voglio ricordare come presso i cinesi, i quali sono stati tra i primi creatori di giardini (quelli giapponesi, con il loro carattere diverso, sono altro, ma all'inizio anche questi sono discesi dai giardini cinesi, come è accaduto anche nella poesia) era diffusa l'idea, quasi una regola, che l'ambiente che circondava l'area di progetto fosse considerato e valesse come un "giardino preso a prestito", il che, tradotto in altri termini, non può voler dire altro che l'intero spazio, del giardino o del parco che fosse, e del contesto vegetale, dovesse valere per la presenza di elementi costanti, in gran parte comuni ad entrambi. Certo, se si vuole, si può anche fare un giardino tutto di Camelie, di Rododendri o di Rose, perché no, non ho nulla in contrario, ma si tratta pur sempre di eccezioni, come eccezioni hanno da essere le introduzioni di singoli elementi esotici. Benissimo. Ma nella maggior parte dei casi (lasciando stare il giardino mediterraneo che esige un discorso tutto diverso), invece, quello che richiedo ad un giardino, perché acquisti una sua sostanza ed individualità, è che si armonizzi col paesaggio naturale originario, sia che in esso si trovi ancora situato o che quest'ultimo sia anche episodicamente o frammentariamente presente. Un giardino ove siano presenti e dominanti quelle costanti (si pensi ai parchi di Pückler-Muskau) che costituiscono la materia e sostanza fondanti e la struttura del paesaggio in cui o su cui si opera.
Guy's Cliffe House, Warwickshire

Ho avuto occasione durante la primavera scorsa, recandomi a Praga in auto, di passare per gran parte dell'Austria, di ammirarne il paesaggio nella sua straordinaria coerenza e costanza; e ancora mi succede in alcuni casi di esser preso dal paesaggio, per esempio da quello che si vede passando in treno da Roma verso nord, poco prima di arrivare a Città della Pieve ed anche dopo, anche questo di altrettale coerenza (e mi stupisco come questi due spazi non siano mai ancora stati assunti e trattati come un parco); ma subito dopo il mio viaggio attraverso l'Austria mi è accaduto di percorrere in macchina, per recarmi in Piemonte da Ferrara, buona parte della pianura padana ed ho potuto constatare che dove non domina assoluto (quasi dovunque) il paesaggio agricolo, quel poco residuo è ridotto ad uno scomposto scacchiere di spazi di risulta, a veri e propri relitti che sono stati utilizzati nel modo più incoerente, incongruo, caotico per costruzioni fabbriche depositi e altre cose del genere, e in nessuno di questi luoghi mi è apparso leggibile uno sforzo di mantenere degli spazi dove appaia evidente l'intenzione di conservare il paesaggio, sia pure frammentariamente, nel suo aspetto originale. E ancora di recente ho avuto l'occasione di percorrere le zone attorno a Verona e di vedere una numerosa serie di giardini privati, anche qui trattati dai loro possessori come tutti uguali, e per me avvilenti, coacervi di conifere.
Un giorno Sciascia parlando dei nostri fiumi scrisse che da quanto appare gli italiani non mostrano di apprezzarli ed amarli; io posso aggiungere ancora, come appare evidente da ciò che ho detto a proposito dei giardini borghesi creati dopo l'unità d'Italia, che gli italiani, da quanto si ricava guardando i loro giardini privati concepiti in serie, non hanno mai mostrato (come diversamente avviene in Europa) l'intenzione di conservare, di dare respiro ed un senso compiuto agli elementi originari, cacciati, distrutti o esclusi.
A questo proposito sarebbe opportuno anche un altro discorso: un giardino concepito dando risalto agli elementi del paesaggio locale (come spesso avviene al di là delle Alpi) occorre pensarlo sempre come uno spazio in evoluzione; la quercia e gli altri elementi di cui ho parlato in precedenza molto difficilmente e raramente sono già presenti, relitti questa volta in senso positivo, nello spazio che si vuole progettare a giardino; il quale nella maggior parte dei casi andrebbe considerato come uno spazio in evoluzione per il suo futuro, cosa non facile da far accettare ai committenti, dominati per la maggior parte dal principio perverso, nel caso del giardino come della casa, delle "chiavi in mano e così sia".
Un discorso che merita di esser continuato in altra occasione.

giovedì, agosto 09, 2007

Je ne regrette rien....




IL PUGILE INNAMORATO

di Rossana Campo
18settembre 2006

La sera prima le cose erano diventate un po’ pesanti, l’anima mi era stata presa dalla tempesta e avevo bevuto troppo. In più, mi ero messa a guardare un lungo documentario su Hubert Selby Jr. trasmesso dalla televisione francese. Selby era morto due anni fa e io me ne ero rimasta a guardare questo incredibile scrittore che verso la fine della sua vita assomigliava a un uccellino spelacchiato, col corpo devastato, come prosciugato da una malattia ai polmoni e da decenni di alcolismo e compagnia bella. Stavo lì a tirare giù la vodka allungata col succo d’arancia e guardavo i suoi occhi rotondi e innocenti come quelli di un neonato, la sua faccia da ragazzino di 75 anni. Per certi versi mi ricordava mio padre. Guardavo Hubert camminare per le vie di Los Angeles, lo guardavo che portava a riparare il suo stereo, che parlava di Beethoven col cinese del negozio di riparazioni. Poi il vecchio Hubert Selby aveva sparato questa frase che mi ha colpito come un diretto in pieno petto, ha detto: Non è che si diventa felici, nella vita. No, non è così, perché la felicità è una condizione che abbiamo già, dentro di noi, e la possiamo sentire. Basta che smettiamo di fare le cose che ci fanno stare male.
Hubert se n’era andato e mi aveva lasciato quest’ultima dritta. Aveva ancora detto che quando sua moglie l’ha mollato per un altro lui ha cercato di non sentire odio o cose del genere, ma ha provato a pregare per lei. E questo l’ha fatto sentire meglio.
Allora ho deciso di fare una cosa che non facevo da un sacco di tempo, sono andata a trovare mio padre.

In Italia ci sono le elezioni e noi siamo andati a votare. Abbiamo buttato giù un paio di bicchieri prima del voto e un paio dopo. Verso le sei siamo andati a fare una passseggiata sul lungomare di Albisola e poi siamo venuti a sederci ai tavolini del bar Mara, giusto in tempo per l’aperitivo. No, non siamo ubriachi ma un po’ su di giri sì.
Ce ne stiamo seduti tutti e due al tavolino del bar in silenzio, non stiamo pensando a niente di speciale, non parliamo molto e non ci diciamo le solite cose che si dicono le persone dopo parecchio tempo che non si sono visti. La giornata è pittosto calda, arriva anche un po’ di vento dal mare. Lui si è messo una camicia arancione e un paio di calzoni chiari larghi un po’ consumati sulle tasche e tira sulla sigaretta come se niente fosse, come se non avesse gli anni che ha e come se mai nessun medico gli avesse detto di chiudere con le sigarette e di dare una bella frenata all’alcol.
Mi dice: Di’, ne vuoi un altro? Prendine un altro va’ che me lo piglio pure io.
Dico, Va bene, e poi gli faccio, Come va col tuo medico, l’hai visto?
Lui mi dice: Quello è uno stronzo, quello è uno specialista in rottura di palle,
Io sento subito un fastidio salirmi dallo stomaco, dico, Possibile che hai quasi 75 anni e ancora devi dire queste cose? Sei come un bambino,
Lui mi dice, Mo’ non ti ci mettere pure tu a rompere i coglioni eh,
D’accordo dico,
Vabbe’, non mi fraintendere, non dico che è una cattiva persona, però lo sai che è un rompicoglioni, mi conosce da tanti anni e ancora mi deve fare la morale,
Occhei,
Mh,
Però è un bravo cristo, lo hai detto pure tu, ti ha aiutato tante volte,
Sì, ma al mondo ci stanno un sacco di brave persone, tutte brave persone, e guarda come siamo ridotti,
Come siamo ridotti?
Che tutto va a farsi fottere,
Va bene, dico.
Tu tutto okay, stella?
Sì, tutto sotto controllo,
Mi dice: E col tuo amico, sta andando bene col tuo amico?
Eh?
Che c’è, non ce l’hai un amico?
Ma sì che ce l’ho,
Allora tuttapposto?
Sì come no, tuttapposto, ci siamo lasciati.
Mh... mh..
Eh sì.
Stelli’, guarda che se quello stronzo non ti vuole è segno che non ti merita.
Quello che dico anch’io, pa’,
E fai bene,
...
E mo’ che fai?
Sono tornata a fare un po’ di pugilato.
Ancora co’ sto cazzo di pugilato?
Ancora, ho detto io, ho tirato giù un altro po’ di vino bianco e mi sono messa a citare Jack London. Ho detto: Come dice Jack London, il pugilato può essere brutale, sì, ma ci sono cose peggiori nella vita. Per esempio il pugilato ha delle regola di condotta precise, e ci vuole un certo far play per boxare. Ho detto: Certi colpi sono proibiti, non è ammesso che dei giganti incontrino dei nanerottoli. Nel pugilato, pa’, i pesi medi si battono coi pesi medi, i massimi coi massimi e i leggeri coi leggeri.
E allora? ha detto lui, Che credi, che non le so ste cose? Pure io ero appassionato di boxe.
Lo so,
E credi che questo risolve tutto, nella vita?
No, ma prendi la mia storia, io e quel deficiente..
Embe’,
Mi ha messo al tappeto quel bastardo, mi ha tirato dei colpi bassi, e non ha usato nessun far play, in tutta la vicenda.
Ma lascialo stare a quello! Senti un po’, e dov’è che vai a allenarti?
Vado sempre allo stesso posto, si chiama l’Indomptable, sta in una specie di sottoscala, c’è puzza di grasso di ristorante, e di anni e anni di sudore, e anche di qualcos’altro.
E che significa Indomp...
Significa qualcosa che non puoi sottomettere,
Significa indomabile?
Una cosa del genere, sì.
‘Azz ma so’ mica fascisti?!
Ma va’! C’è Gino che tiene la palestra, è un ex pugile di origine italiana, un sardo, e il suo socio Jojo che è un francese del sud, di Marsiglia. Una bella coppia, li dovresti vedere. Poi c’è Sita, una ragazza che arriva dalla banlieue, un’algerina, femminista radicale, capelli rapati a zero, peso mediomassimo, una tipa davvero forte.
E com’è che ci sei finita in questo bel posto?
La prima volta ci sono passata davanti per caso. Era febbraio, faceva freddo e io ci avevo voglia di menare le mani. Sono passata lì davanti e c’era un cartello che diceva: L’Indomptable. Pugilato maschile e femminile. Così un giorno sono entrata. Ho visto Gino e lui mi ha detto che prima di passare al sacco e menare le mani dovevo fare un bel po’ di ginnastica. Ha detto che mi dovevo intostare per bene, prima di dare e ricevere colpi. Io che sono sempre stata una gran pigrona e che a scuola l’ora di ginnastica mi faceva cagare, mentre parlavo con Gino che mi esponeva questa sua semplice e diretta filosofia mi sono entusiasmata. Era un principio sportivo sì, ma poteva calzare a pennello anche per i fatti della vita. Mi sono lasciata prendere subito. E ho cominciato a darci dentro, ogni giorno. Andavo lì in quel posto con la puzza di grasso e facevo gli esercizi che Gino mi diceva, flessioni, addominali, corsa, salto con la corda. E questo prima di vedere il film di Clint Eastwood, eh, stiamo parlando di molto tempo prima.

Lui si mette a ridere, mi guarda e vedo che qualcosa è successo. Una minuscola magia, un prodigio minore dentro la sua capoccia. Si è messo di buon umore. Adesso forse mi vede, e quello che vede gli dà allegria, non so perché succede ma succede. Continua a ridere con gli occhi e mi fa:
A me sai chi mi piaceva come pugile?
Eh,
Marcel Cerdan.
Sì?
Il Bombardiere di Casablanca. Quando ero andato a lavorare in Francia, a vent’anni, parlavano solo di lui. Eh, sai quanto cazzo ha pianto Edith Piaf quando è morto? Quella era una grande storia d’amore! Lui era sposato, ci aveva pure una moglie, ma il grande amore erano loro due, Marcel e Edith, altro che cazzi! Quando lui è morto lei piangeva e gridava, si strappò i capelli in testa. E mentre stava cantando, quella canzone che diceva se un giorno morirai... se un giorno morirai... se n’è svenuta, caduta per terra che pensavano che era morta pure lei, per il dolore.
...
Mi ricordo che avevo letto sui giornali quando ha fatto il famoso incontro a Detroit con Jack La Motta. Maronna!! Cerdan ci aveva la spalla sinistra completamente spappolata e aveva combattuto con una sola mano. Dicevano che alla ottava, o nona ripresa, il suo allenatore aveva detto: Marcel, tu stai fuori di capa, tu sei impazzito, io lancio l’asciugamano, basta. E sai Marcel che gli ha risposto?
No,
Gli ha detto: tu fallo e io mi ammazzo.
La madonna,
E no!
...
Sai che gli avevano detto a Cerdan, un mago, uno di quegli indovini, gli aveva detto che non doveva viaggiare in aereo, che era pericoloso e soprattutto non doveva viaggiare di venerdì. E lui che ha fatto, ha preso l’aereo lo stesso, e pure di venerdì. E se n’è muort’! Si è schiantato.
Porca miseria.
Pensa che lui stava per prendere la nave. Doveva andare in America, e ci voleva andare con la nave. Poi proprio Edith Piaf gli dice, no, fai presto fai presto amore che senza di te non resisto. E quello si prende l’aereo. E si schianta.
Porca miseria,
Eh quando si mettono in mezzo le donne, sempre guai, poco ma sicuro.
Che stronzate,
E no. Lo chiamavano il campione gentile, era un uomo molto gentile, e combatteva senza risparmiarsi mai. Lo chiamavano il bombardiere marocchino, anche se era algerino.
Sì, ma due parole sulla moglie le vogliamo spendere? Dico io, ci vogliamo mettere un secondo nei panni della moglie, tradita e scornacchiata davanti a tutto il mondo, eh?
Eh la moglie! La moglie si è attaccata al tram!
...
Cazz’, allora ero giovane, altroché... ne prendi un altro?
D’accordo,
E pure io ne prendo un altro! Robbè, portacene ancora due. Sai una cosa, a volte mi sento come uno che vorrebbe fare ancora qualcosa, qualcosa di bello, un po’ a testa di cazzo, prima di andarmene...
Per esempio?
Eh , mi piacerebbe sparare ancora qualche cartuccia come si deve,
Oh pa’ che significa, che vorresti fare,
Ma è ’na cazzata...
Dai dimmela lo stesso,
Mo’ te lo dico,
Allora?
Mi piacerebbe volare.
...
Eh, mi piacerebbe prendere un aereo e guidarlo, farmi un cazzo di volo e affanculo tutti,
guidare un aereo. Io, per i fatti miei.
Un aereo,
Eh un aereo, che sei sorda,
Dici nel senso di pilotarlo. Non di prendere un aereo, di farti un viaggio,
Che viaggio, a prendere un aereo sono buoni tutti, ti compri un biglietto e vai, questo lo sanno fare tutti, qualunque stronzo mo’ prende e sale su un aereo.
Dunque vorresti volare, pilotare,
Eh ti pare strano,
E perché non lo fai,
Perché prima dovrei prendere le lezioni, prima ci stanno tutti i cazzo di corsi, poi devi pure fare gli esami della vista, del cuore, ci stanno tutti sti cazzi di controlli, ma che rompicoglioni. Poi mi hanno già detto che so’ vecchio,
Questa è una cazzata,
Ti pare!
Questa è proprio una stronzata pa’,
Quello che ho detto pure io,
Ci sei rimasto male?
Chi io? Figurati, quelli sono solo una massa di stronzi,
È così,
Però è forte la storia di Marcel Cerdan, eh?
È forte sì,
Il bombardiere marocchino,
Che invece era algerino,
Eh, sì. Ma veramente ti piace la boxe a te?
Mi piace sì, e mi ha salvato il culo per molti versi.
Me’ ma sempre questo modo così volgare di esprimerti!
...
Comunque ricordati quello che ti dice papà,
Sì, a proposito di cosa,
Che se uno non ti vuole, se uno non ti sa apprezzare...
...è che non mi merita,
È così.
Cazzo è così sul serio.
E non essere volgare.

martedì, agosto 07, 2007

nel dubbio...tengo giù!



E/TYPE. 4.2 COUPE'

cilindrata
4.235
cilindri
6 in linea
potenza hp/rpm
265/5.400
testa
straight port
carburatori
3 S.U. HD8
lunghezza/m.
4,46
larghezza/m.
1,66
velocità/Km/h
241
presentazione
10/1964
fine produzione
9/1968
unità guida sinistra
5.813
unità guida destra
1.957

sabato, luglio 14, 2007

sostantivo femminile


bellézza s. f. [der. di bello].1. L'essere bello, qualità di ciò che è bello o che tale appare ai sensi e allo spirito: la b. è una specie di armonia visibile che penetra soavemente nei cuori umani (Foscolo). In partic.: a. Di persona (e talora anche di animale): b. fisica; la b. del volto, delle membra, delle forme; per i Greci Venere rappresentava l'ideale della b. femminile, Apollo della b. maschile; donna bella di una b. tutta spirituale; b. schietta, artificiosa; b. verginale, matronale; b. serena, mesta; b. florida, appassita; b. greca, di lineamenti che ricordano le grandi opere della scultura greca; un cane, un gatto di grande b., una tigre di maestosa b.; crescere in b.; perdere la b.; concorsi di bellezza (femminile, infantile, e anche per cani e gatti). Si riferiscono sempre alla persona, e in partic. alla donna, le espressioni: prodotti di b., istituto di b. (espressione che ricalca il fr. institut de beauté), per la cura estetica del corpo. B. dell'asino, la bellezza e freschezza che sono proprie della gioventù, anche quando manchi una vera e propria bellezza di lineamenti (l'espressione è ritenuta, forse a torto, un'erronea traduz. del fr. beauté de l'age “bellezza dell'età”). b. Di cose: contemplare la b. di un paesaggio; ammirare la b. di un'opera d'arte; sentire la b. di un verso; b. di colori, di suoni, ecc. E in senso morale: la b. di un gesto, di un sentimento; la b. della modestia, del perdono. 2. concr. a. Persona o cosa bella, piacevole: una fanciulla, un bimbo che è una b.; che b. quel micino!; che b. queste pesche!; b. mia!, come appellativo affettuoso. Spesso ironiche le espressioni: addio, b.; senti, b.; ascolta, b., e sim. Frequente in frasi enfatiche: un giardino che è una b.; il ragazzo cresce che è una b.; ci si sta comodi che è una b.; e come esclam., che bellezza, per esprimere gioia, soddisfazione: due giorni di vacanza, che bellezza! b. Al plur., aspetti esteticamente notevoli di opere d'arte o della natura: le b. del creato, di un paesaggio, di una città; b. naturali, tutelate da particolari norme giuridiche in quanto considerate oggetto d'interesse pubblico; illustrare le b. della Divina Commedia; anche di persona, e spec. di donna, le parti del corpo e i lineamenti del volto che più concorrono a renderla bella e attraente: cantare, o decantare, le b. della donna amata. 3. Locuz. speciali: a. Per b., per ornamento, per abbellimento: s'è messa un fiore nei capelli per bellezza. b. Bere le b. di qualcuno, bere al suo bicchiere; è espressione popolare scherz., o di gentile galanteria spec. quando si beve al bicchiere già usato da una signora: bevo le sue bellezze. c. La b. di ..., per indicare quantità notevole; m'è costato la b. di mezzo milione; è stato in giro per il mondo la b. di sei mesi. Così, che b. di ..., per esprimere abbondanza: guarda che b. di pesche su quell'albero. d. Morire in b. (ricalcato sul fr. mourir en beauté), morire serbando dignità, compostezza; per estens., finire in b., concludere la propria attività (professionale, sportiva, ecc.) con qualche bel gesto, con un atto che lasci un buon ricordo, e sim.; scherz., concludere, terminare in b., un discorso, uno scritto, o altra manifestazione, con frasi, azioni o gesti di effetto; nel linguaggio sport., vincere in b., vincere bene e anche con una certa facilità.

venerdì, luglio 06, 2007

non credo all'oroscopo......



Segno Zodiacale: Toro

Il Sole si trova in Toro tra il 21 Aprile e il 21 Maggio
Il pianeta dominante è Venere, l'elemento è la terra, la qualità è fissa.


Il Toro e' dotato di una resistenza e di una pazienza che lo portano a raggiungere mete impossibili per qualsiasi altro segno. Appartenendo alla schiera dei segni fissi, e' piuttosto moderato e tradizionalista. Ha la tendenza a fare le cose piano, ma molto bene.

Spesso viene considerato pigro. Si tratta, pero', di una concezione erronea della sua natura! Il Toro e' solo disciplinato e controllato e vuol sempre sapere dove sta andando.

Le sue peculiari caratteristiche gli permettono di avere un ottimo rapporto con il denaro. Il Toro tende ad accumulare ricchezze. Non e' pero' ne' avido ne' avaro: ha solo un forte istinto conservativo e la sua abilita' nel trattare il denaro e' congenita, assolutamente priva di malizia. Del resto, il Toro e' tutto fuorche' malizioso: al contrario, la sua bonta' lo porta, a volte, a fidarsi troppo del prossimo e a rimanere deluso (se non addirittura raggirato) da quest'ultimo.

La lentezza e le difficolta' con le quali il Toro raggiunge i suoi obiettivi possono portarlo a essere decisamente possessivo verso quello che gli appartiene, che si parli di beni materiali o di affetti. Questo difetto del Toro viene compensato, almeno per quanto riguarda i rapporti sentimentali, dalla fantastica sensualita' che possiede, e che rende i suoi rapporti affettivi ricchissimi di entusiasmo e passione.

Il segno del Toro corrisponde, anatomicamente, alla parte inferiore della testa; al collo e alla gola in particolare. Gi appartiene a tale segno dovra' stare attento, dunque, a torcicolli, faringiti e tonsilliti, sempre in agguato!

Nei sentimenti, pur essendo dotato di una sensualita' fuori dal comune, che gli permetterebbe di concedersi molteplici avventure, il Toro ha interessi e intenzioni piuttosto tradizionali. Ama la famiglia e il suo fine ultimo e' quello di raggiungere una vera sicurezza affettiva.

Per l'influenza di Venere, e' attratto particolarmente da tutto cio' che e' bello. Il suo partner ideale deve farsi riconoscere grazie a un aspetto fisico molto curato e, possibilmente, attraente. Dopo un primo approccio fondato sull'esteriorita', il Toro continuera' tuttavia ad apprezzare il partner con intensita' nel corso degli anni, soprattutto se tale partner condividera' la carica sessuale non indifferente del Toro.

Rappresentanti importanti di questo segno sono:
Karl Marx, Sigmund Freud, Elisabetta II d'Inghilterra, Rodolfo Valentino, Al Pacino, Uma Thurman, George Clooney.

Colore da portare: il verde.

Pietra portafortuna: lo smeraldo

Metallo: il rame.

Fiore: la rosa.

Giorno favorevole: il venerdì, in onore di Venere

mercoledì, luglio 04, 2007

bustina nuova...



Lei: Le rose e violini/ questa sera raccontali a un’altra,
violini e rose li posso sentire/ quando la cosa mi va se mi va,
quando è il momento/ e dopo si vedrà
Lui: Una parola ancora
Lei: Parole, parole, parole
Lui: Ascoltami
Lei: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
Lui: Ecco il mio destino, parlarti, parlarti come la prima volta

“Parole parole parole” di Chiosso - Del Re - Ferrio (1971) cantano: Mina & Alberto Lupo



Mi sono interrogato più volte sul senso di questa rubrica. Cosa ci
azzecca, come direbbe qualcuno, parlare di stagioni climatche, di
politica o guerra nella pagina finale di una rivista dedicata
all'architettura? Mi è tornato in mente però l'intervento di Peter
Eisenman a Bologna durante la festa per i 35 anni di "Parametro".
Eisenman metteva l'accento sull'importanza dello scrivere di
architettura ma sopratutto dello scrivere per progettare, di quanto
lui non riuscisse a progettare senza affrontare i problemi trovando le
parole per descriverli e indagarli. Mi è parso più chiaro il senso di
parlare anche d'altro per parlare alla fine comunque di architettura.
Mi è sembrato chiaro che un fare progettuale slegato dal
contemporaneo, dall'hic et nunc inteso come vita quotidiana, dai
bisogni, dalle azioni, dalle diverse prospettive di pensiero ma
innanzitutto dalle parole fosse un'architettura monca,
autoreferenziale, assente e lontana, solo edilizia, alla fine. La mia
docente di Urbanistica consigliava di leggere romanzi e non libri di
architettura, perchè solo lì si potevano scorgere le pulsioni, le
passioni, le miserie e le ricchezze degli individui e le loro
relazioni. Confortato da questi pensieri ho allargato di nuovo lo
sguardo e ho capito che le parole sono importanti (come diceva il
Moretti di "Palombella Rossa": "Chi parla male vive male e pensa
male."), le parole possono essere pietre, possono, ne abbiamo prova
tutti i giorni, far diventare colpevole un innocente e viceversa,
possono segnare confini, muri, recinti (e come vedete siamo di nuovo
all'architettura) e definire inclusioni ed esclusioni in una sorta di
moderna caccia all'untore, di mai interrotto ostracismo. Mi chiedo,
per esempio, quale sia la necessità giornalistica di citare o, per
meglio dire, di marcare la nazionalità di criminali o presunti tali,
cosa aggiunge alla notizia sapere che lo spacciatore è marocchino o
colombiano e il rapinatore rumeno o albanese? Per non parlare dello
stupore (quasi dispiacere) quando si scopre che i veri colpevoli sono
i vicini di casa o i parenti più prossimi. Mi viene in mente un
episodio della mia infanzia, quando in autobus, passando accanto ad un mattatoio, mia sorella, guardando un camion di cavalli trasportati
verso la macellazione esclamò ad alta voce un "poverini!", ma subito
un uomo in piedi vicino a lei la rassicurò (sic!): "non si preoccupi,
signorina, quelli sono cavalli yugoslavi...", sicuro che la tristezza
di mia sorella per la loro triste sorte dovesse svanire all'istante
per il solo fatto che non erano animali nostri connazionali ma altro
da noi, stranieri, diversi... detto questo vorrei proporre un
esercizio di igiene civile, smetterla di segnalare la nazionalità o la
razza (a meno che non sia proprio quello il nocciolo della notizia)
raccontando gli individui come individui e se sono ladri come ladri e
se assassini come assassini ed eroi come eroi. Forse così potremmo
iniziare a sconfiggere quell'architettura della falsa difesa, della
paura che diventa esclusione e iniziare a riappropriarsi di parole
vere, quelle che costruiscono, quelle che servano a costruire
architettura concreta, l'unica mai divisa da quella dello spirito...

venerdì, giugno 29, 2007

giovedì, giugno 28, 2007

sabato, giugno 23, 2007

vodka martini



Ingredienti

8/10 di Vodka
2/10 di Vermouth dry

Procedimento
Mettere alcuni cubetti di ghiaccio nel mixing glass e aggiungere gli altri due ingredienti. Mescolare bene per 6-8 secondi con l'apposita asticella e versare nel bicchiere. Decorare con un'oliva.

Varianti
L'oliva può essere sostituita da una strizzatina di buccia di limone in superficie.

Metodo: mixing glass
Bicchiere: coppetta da cocktail
Decorazione: un'oliva

cuba libre


per una persona:

35 ml rhum bianco
100 ml Coca Cola
succo di mezzo lime
3 gocce di angostura bitter
ghiaccio


Mettete nel bicchiere il ghiaccio, aggiungere il rhum, il succo di lime leggermente spremuto, l'angostura e poi la Coca Cola.
Mescolate bene e aggiungete una fettina di lime.

lunedì, giugno 11, 2007

domenica, giugno 10, 2007

una scoperta parigina....


Jean-Charles Blais
Octobre, 1991, plate 6
aquatint on paper
38.75 x 29 in.
signed and numbered, ed. 45
published in collaboration with Erika Greenberg Schneider

lunedì, giugno 04, 2007

Jean-Auguste-Dominique Ingres



Bagno turco

1863
olio su tela ; diametro 108
Parigi, Musée du Louvre

domenica, giugno 03, 2007

alf laila wa laila

"shaken not stirred"



MARTINI DRY

* 2/10 vermouth Martini "extra dry Martini & Rossi
* 8/10 gin Plymouth,

PREPARAZIONE
Nel mixing glass
SERVIZIO
Calice a cono.
DECORAZIONE
Spruzzo di buccia di limone o oliva verde.
ORIGINI
Variante del Gin and French nato nel 1910 al bar del Knicherboker di New York, per opera del barman Martini.

venerdì, giugno 01, 2007

ultrachic!



For the Love of God
2007
Platinum, diamonds and human teeth
6 3/4 x 5 x 7 1/2 in. (17.1 x 12.7 x 19.1 cm)
Photo: Prudence Cuming Associates


Si chiama "For the love of god", è di Damien Hirst l'opera d'arte più costosa della storia.Costruita in platino, riproduce esattamente un teschio umano. Sulla superficie ci sono 8.601 diamanti, per un totale di 1.106,18 carati, dal 3 giugno sarà esposta alla galleria White Cube di Hoxton Square, a Londra. Il suo valore di mercato si aggira intorno ai cento milioni di euro.

lunedì, maggio 21, 2007

ritrovato!


l'avevo perso ma sotto la poltrona l'ho ritrovato....

bustina affrancata



Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d’albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles.
Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta.Era un bel problema, degno della massima attenzione.
Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.
John Fante “Chiedi alla polvere” Marcos y Marcos, Milano, 1994


Finalmente estate! Di conseguenza vi scrivo una bella “bustina” leggera e vacanziera. Attendo con malcelata impazienza il riciclo su giornali e tv di tutti quei servizi che parlano di abbronzatura, di dieta mediterranea, di vacanze truffa e di prova costume per cui bisogna perdere 7 chili in 7 giorni. Quest’anno la fa da padrone il tema del clima impazzito e della tropicalizzazione (sic!) del mediterraneo, argomento serissimo al limite del drammatico ma che risciaquato nei talk show serali, pomeridiani e anche mattutini (ma quanto parlano questi?!) diventa argomento da bar sport e non più come invece è di attualissima realtà. Altro tema inevitabile come le zanzare sarà quello che possiamo chiamare: consigli cultural-vacanzieri e cioè interviste ad intelletuali pseudo e non e a veline e tronisti su che libri porteranno in vacanza. Libri che loro non leggeranno ma che fa tanto chic mettere in valigia per compensare il senso di colpa dato dalle vere intenzioni: non fare un emerito nulla se non partecipare a feste più o meno Vip!. Anch’io mi accodo all’uso consueto e vi propongo un libro per l’estate. E' un volume edito da Skira e si intitola: “Cara Signora Tosoni - le cartoline di Casabella 1982-1995”. Raccoglie le cartoline-postcards di Jacques Gubler noto storico svizzero dell’architettura. ve lo propongo perchè ho un debito morale nei suoi confronti. la “bustina” che leggete su Parametro è ispirata all’ultima pagina di Casabella in cui compariva fino al 1995 uno scritto più o meno lungo che accompagnava una o a volte più immagini (cartoline appunto) che l’autore scriveva alla Signora Tosoni che era la segretaria di redazione della rivista. Frammenti di una cultura curiosa e “diagonale” che svilluppandosi lungo un percorso spazio-temporale numerato progressivamente ( era svizzero il nostro) sfruttava il rimbalzo tra parole e immagini unendo fili di un disegno ai più nascosto. Ogni cartolina un gioiellino di prosa dedicato tra l’ironico e il romantico alla Signora Tosoni. ( Che nella mia fantasia aveva il sommesso fascino di Miss Moneypenny la segretaria dei servizi segreti britannici che civettava con il james Bond di turno).Pagato questo debito posso smentire così che l’ispiratore sia l’Umberto Eco della “Bustina di Minerva” dell’ultima pagina dell’Espresso. In verità la rubrica che state leggendo si doveva chiamare - lettere dalla cantina - ma la mancanza di una chiara interlinea tra titolo e testo a fatto si che questo diventasse il titolo della bustina stessa e non della rubrica. L’irrispettoso gioco di parole tra Minerva e Minervini ha fatto il resto. Detto questo e dato a Cesare quel che è di Cesare e a Jacques quel che è di Jaques, ringrazio, mi scuso con i chiamati in causa e vi auguro una bella estate il che mi porta ad aggiungere al mio paniere un’altro meraviglioso libro:
“La bella estate” di Cesare Pavese edito da Einaudi, Torino, 1976.

Saluti tipografici&ultravioletti

giovedì, maggio 03, 2007

SEQUENCE 1. venezia 5/5_11/11_2007

Sequence 1:Pittura e scultura nella collezione François Pinault è il titolo della prossima mostra che verrà inaugurata a Palazzo Grassi il 5 maggio.
Venezia_5/5_11/11_2007



Martial Raysse
Nu jaune et calme, 1963
Olio, fotografia, collage su tela
97 x 130 cm
© Martial Raysse

mercoledì, aprile 11, 2007

sabato, aprile 07, 2007

Dino Gavina 1922∞2007


in memoria di Dino Gavina

sovversivo

"perché fortunatamente la vita è anche follia,
l'esistenza è sorpresa, l'avvenire avventura"

mercoledì, febbraio 28, 2007

vuoi litigare?


ecco come mi vede Omar Penz

domenica, febbraio 25, 2007

venerdì, febbraio 23, 2007

domenica, febbraio 18, 2007

quid tum



Jannis Kounellis ,Untitled, 1960
Olio su tela, 1.4 x 2.3 m ,collezione privata


.... nel fiume che è Vita
trascorrono quelli che vengon sbattuti qua e là
quelli che si aggrappano ad otri gonfi e vani,
quelli che nuotano disperati per sopravvivere soltanto
- a altri che resistono invece
altri che si affidano alle tavole delle "bonae artes",
altri che metton mano alla costruzione di naviculae.

Massimo Cacciari
"quid tum"
Venezia, 23 febbraio 1994



giovedì, febbraio 15, 2007

bustina nuova...


BANQUO - Figlio, a che punto è la notte?
FLEANTE - La luna è calata, ma non ho sentito batter l’orologio.
BANQUO - Ed essa cala adesso a mezzanotte.
FLEANTE - Direi ch’è un po’ più tardi, mio signore.


W. Shakespeare : “MACBETH” (1660) atto secondo, scena prima, Giunti Editore (2004), Firenze





Ben ritrovati, riprendo la dove avevo lasciato nella “bustina” pubblicata in Parametro 266.
L’esortazione finale era ad impegnarsi per ritessere relazioni, costruire nuove piazze. Questo perché l’altra faccia della degenerazione formale delle cosidette “casette del geometra” è il loro sempre più farsi casetta isolata ( così scriverebbe un’immobiliare per accrescerne il valore) sempre più rifiutare l’esterno come parte essenziale nel timore di quello che è diventato il moloch del pericolo: il condominio....e quindi costruire nuove piazze dicevo, intese come spazi di relazione e di aggregazione. Giorni fa assistevo ad un convegno sulla comunicazione dove si faceva un gran parlare di “virtual marketing” ( il vecchio “passa parola” risciaquato nel Tamigi ) e mi sono venute in mente per strana associazione tutta una serie di immagini: persone che affollavano i bar per vedere Rischiatutto alla Tv, foto di “case del popolo” con maschi che ballavano con maschi e femmine con femmine ( non centrano ne le coppie di fatto ne i “dico” ma penso solo: una sorta di simmetrica scarsità oltre alla timidezza ) poi i pretini che ballano in circolo di una famosa foto di Giacomelli, Indro Montanelli con la sua Olivetti lettera 32 sulle ginocchia. Allora ho pensato ha come poteva essere questo viral marketing ( “viral” non “virtual” ) e mi è sembrato che per prima cosa bisognava aggiungere un aggettivo che non ho avuto il coraggio di aggiungere in inglese e quindi l’ho fatto in italiano e quindi: viral marketing culturale, un’influenza che al posto di schiantarvi a letto vi spinge ad uscire di casa un’invasione di ultracorpi .....
mi ha punto fantasia di lanciare un piccolo concorso.. per un nuovo “lem” che anziche atterrare sulla luna si piazzi sulla terra ma non uno...centinaia di “lem” di navicelle (“naviculae” direbbe l’Alberti) che prendano possesso di quelli spazi indefiniti, tra le casette del geometra, come avamposti, come presidi fondamentali che come dopo un terremoto diventino dei prefabbricati per l’anima. Delle piccolle chiesette laiche in cui trovino spazio una biblioteca, un piccolo teatro che diventa sala solo spostando le sedie... dove scende uno schermo per vedere in tempo reale l’Aida all’arena di Verona o l’ultimo concerto di Ligabue sfruttando Internet e i satelliti per unire e non per isolare. Io so cosa state pensando.... che tutto questo esiste già e si chiamano centri sociali o sono le associazioni degli alpini o si chiamano in tanti altri modi o ne fanno la funzione... ma io parlo di dell’aperta campagna di arrivare a piazzarli li dove non c’è città, non c’è paese ci sono solo puntini sparsi...un grande piano nazionale come il piano per le case popolari, io le immagino tutte uguali, da montare quasi autosufficienti come un grande caminetto dove ritrovarsi la sera. Mi piacerebbero fossero rossi ( non politicamente ma cromaticamente) da creare una geografia di cultura guardandoli dall’alto. Me le immagino le mappe di Google Earth sull’italia con tutti questi punti rossi a creare una rete, globuli (rossi, appunto) di una trasfusione necessaria. Un nuovo sistema sanguigno che porti cultura e conoscenza ma sopratutto che stimoli quello che non vedo più girò se non come perversa passione per il gossip per il tinello altrui: - La curiosità - quella che ti fa vedere e ascoltare l’altro che sia persona, o libro o film..Non so voi ma io non mi sono ancora stancato di leggere e rileggere quel passo delle Memorie di Adriano della Yourcenar: “Fondare biblioteche è come costruire granai, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi vedo purtroppo arrivare”

Antonio Minervini